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Introduzione

Con il nome di "Terra Murata" si indica il nucleo abitativo più antico tra quelli esistenti in Procida. Esso risale al primo MedioEvo e fu a lungo l'unico centro abitato dell'isola per motivi di sicurezza: infatti si trova sul promontorio più alto dell' isola (circa 90 metri d'altezza) con pareti a picco sul mare e pendìo degradante verso il centro dell'isola, in posizione quindi più facilmente difendibile. Il nome deriva dall' antica divisione di questa parte dell'isola in zone chiamate "Terre": c'era la "Terra aratoria" destinata al frumento; la "Terra campiva" per il pascolo; la "Terra cultiva" per le altre coltivazioni ortofrutticole e l'olivo; la "Terra vitata" piantata a vigneto; e infine c'era la "Terra Casata" (precedente nome di quest'area) dove si riunivano le case degli abitanti per meglio difendersi nei periodi meno sicuri. Quando nel corso del Cinquecento i nuovi signori dell' isola (i D' Avalos) decisero la fortificazione dell' intero centro abitato, l' aggettivo che definiva la Terra cambiò da "casata" in "murata" e questo nome ha conservato fino ad oggi, insieme a molte caratteristiche costruttive sostanziali.

Terra Murata

Palazzo d'Avalos

Il Palazzo d'Avalos, detto anche "Castello", è il primo elemento di Procida che appare alla vista di chi viene da Napoli in nave. Si erge apparentemente solitario sul ciglio della parete tufacea a picco sul mare, ma nasconde dietro di sé il centro abitato della Terra Murata. Gli Avalos, potente nobile famiglia spagnola, acquisì Procida in feudo agli inizi del Cinquecento, concessione confermata poi nel 1529 direttamente dall'imperatore Carlo V d'Absburgo. Governarono l'isola fino all'avvento dei Borboni nel 1734. Nel 1563 il cardinale Innico d'Avalos avviò la costruzione del Palazzo e delle mura fortificate attorno all'abitato della Terra Casata (da allora in poi Terra Murata). Ma non si limitò a questo: annessa alla costruzione delle mura fu operata anche una ristrutturazione urbanistica, con spostamento delle porte e delle strade di accesso alla cittadella.

Porte della città

Nell'ambito di questa redistribuzione urbanistica vennero modificati gli accessi alla Terra. La porta più antica, la Porta Mezz'Omo (foto 1), venne inglobata all'interno della nuova cinta muraria e perse quindi importanza. Nello slargo antistante (Largo de' Fossi) fu impostata la Piazza d'Armi, spazio interno alle mura destinato alle esercitazioni militari e alle parate ufficiali, che conduceva fino al nuovo Palazzo. L'altra porta preesistente, posta a Nord e detta "Porta della Terra", che dava sulla piccola baia sottostante (punto di approdo prima dello spostamento verso il nuovo porto del Sancio Cattolico) fu rimossa.

Al suo posto venne eretta la fronte del Palazzo, mentre l'ingresso principale del centro abitato fu spostato sul lato meridionale, affacciantesi sul borgo della Marina Corricella. La nuova porta, posta al centro di un possente bastione, per la sua imponenza colpì molto la popolazione, che la chiamò "Porta di Ferro" in relazione non solo al materiale con cui era fatta ma anche alla sua inviolabilità. Con essa si gettavano le basi per un periodo di pace e di prosperità per l'isola di Procida. Il nuovo piano urbanistico nella mappa a lato.

Piano urbanistico

Poiché il collegamento principale doveva comunque aversi con il nascente porto, il nuovo ingresso della Porta di Ferro venne posto al termine di una nuova arteria stradale (la "Via Nuova") che collegava la Terra al Sancio e lungo la quale il terreno declinante fu spianato (la "Schianata") a duplice scopo di coltivazione e difensivo. Il piano urbanistico del d' Avalos intervenne anche sulla disposizione degli spazi interni alla Terra, con la creazione di due nuove piazze: la Piazza d' Armi, tra le nuove mura e il preesistente fronte della Casata, e la Piazza S. Michele, tra la nuova facciata della chiesa abbaziale e il vecchio palazzo gentilizio. La Piazza d' Armi è il nuovo spazio urbano su cui si incontrano la città vecchia e la nuova e che quindi meglio mostra la transizione tra le due maniere di vita cittadina (vedi mappa alla pagina precedente).

La 'Casata'

La vecchia cittadella non era fortificata, nel senso che non era dotata di mura difensive autonome; ma le abitazioni erano costruite in modo tale da costituire un efficiente sistema difensivo e proprio qui sta la particolarità dell'edilizia storica della Terra Murata. Le case erano costruite su blocchi tufacei che potessero servire da bastioni in miniatura, ed erano addossate le une alle altre a formare un fronte edilizio unico e compatto, che andava dalla Porta Settentrionale fino alle cave di tufo della Taglia a Sud. Tra le case unico intervallo la Porta Mezz'Omo, che pare fosse dotata anche di un ponte levatoio.

Gli ingressi delle case erano sul lato interno insieme alle maggiori aperture, mentre all'esterno c'erano inizialmente solo poche e piccole finestre a feritoia per evidenti ragioni difensive. A causa del forte dislivello tra livello del terreno interno ed esterno alla Casata, alcuni ambienti erano situati ad un livello inferiore rispetto al piano stradale interno. Il tutto a costituire un' opera di fortificazione "spontanea", fatta dai singoli abitanti ma avendo come concetto guida la difesa collettiva, perché in quei tempi solo nella collettività dimorava la sicurezza dell'individuo.

Case nella Casata

In seguito alla costruzione delle nuove mura 500esche e al progressivo diminuire delle esigenze difensive, cambiarono anche le necessità della popolazione e i caratteri edilizi che vi facevano riferimento. I prospetti esterni delle case si arricchirono di nuove e più ampie aperture nonché di terrazzi e balconcini che affievolirono il carattere chiuso e difensivo che l'ininterrotta successione di case doveva mostrare prima della nuova sistemazione urbana. Anche l'utilizzo di tinteggiature più chiare, forse mutuate dal nuovo stile del nascente borgo sottostante della Corricella, servì ad alleggerire l'aspetto austero dell' intero caseggiato, introducendo rotture di continuità nel fronte edilizio.Frattanto gli ingressi delle case costituenti il fronte della Casata, posti all' interno della Terra, cominciarono a diventare poco pratici, costringendo a lunghi e tortuosi percorsi di accesso e quindi molti abitanti preferirono scavare scale di accesso nei blocchi tufacei di fondazione per costruire nuovi ingressi alle abitazioni sul piano stradale inferiore, lungo la Piazza d' Armi e il viale proveniente dalla Porta di Ferro, dando origine ai caratteristici portoni scavati nel tufo.

  Invasioni saracene

Tornando ai motivi che spinsero alle nuove opere di fortificazione, bisogna ricordare che la prima metà del Cinquecento fu il periodo in cui l' Italia meridionale più dovette subire le incursioni dei Saraceni (nome con cui i napoletani indicavano genericamente gli islamici sin dai tempi degli Arabi, ma in questo periodo i razziatori erano Ottomani) che, approfittando della debolezza militare e politica del Regno di Napoli durante la transizione tra Aragonesi e Spagnoli, intensificarono le proprie razzìe volte soprattutto a rifornire il fiorente mercato orientale degli schiavi, piuttosto che al saccheggio vero e proprio, vista la relativa povertà delle zone depredate. In particolare si ricordano, come le più devastanti e distruttive, le incursioni dei corsari musulmani Khair ad-Din e Dorghut. Khair ad-Din, detto il Barbarossa, fu sceicco di Algeri e comandante della flotta turca. Dopo la vittoria conseguita a Pervesa nel 1538 sulla flotta imperiale di Carlo V guidata dal genovese Andrea Doria, ebbe negli anni seguenti via libera nel Mediterraneo intero, devastando le coste del vicereame spagnolo di Napoli e della Sicilia da cui fece grande deportazione di schiavi verso Costantinopoli: ben 7000 uomini. A Procida non colpì perché la popolazione scappò in massa sulla terraferma durante il saccheggio della vicina Ischia. A Capri distrusse il castello che ancora porta il suo nome. Dorghut, il cui nome fu storpiato in Dragut dagli occidentali quasi a sottolinearne l' azione mitica, crebbe al seguito del Barbarossa e alla sua morte divenne il corsaro musulmano più potente e famoso, vero terrore dei naviganti. Appoggiato anche dalla Francia in funzione anti-imperiale, devastò più volte le coste spagnole e italiane. Divenne poi signore di Tripoli. A Procida incendiò l' Abbazia di S. Michele (e a Capri la Certosa) attorno al 1550. Nella II metà del Cinquecento, definitivamente affermata la stabilità politica, gli Spagnoli affrontarono un vasto piano di difesa e fortificazione e soprattutto intensificarono le azioni militari vere e proprie contro gli Ottomani, ottenendo un grande successo a Lepanto nel 1571, ma che continuarono fino ai primi del Seicento, con lo scopo di arginare l' espansionismo musulmano nel mediterraneo occidentale. Nel più ampio ambito di questo piano di rafforzamento si inseriscono anche le opere di fortificazione effettuate a Procida.

Altre opere

Oltre al Palazzo d' Avalos altre opere costruttive furono realizzate all' interno delle nuove mura. Fu ristrutturato in forme rinascimentali il vecchio palazzo signorile, probabile residenza dei precedenti feudatari (i Da Procida prima e i Cossa poi), davanti al quale fu aperta la nuova piazza prospiciente il nuovo ingresso dell'Abbazia. Nel Seicento passò sotto la proprietà della famiglia De Iorio, una delle più benestanti in Procida. Nel secolo scorso fu adibito a funzione sociale di orfanotrofio femminile con il nome di "Conservatorio delle Orfane". Oggi è noto piuttosto con il nome di Palazzo De Iorio, dal nome dei proprietari 600eschi.

La difesa della cittadella della Terra Murata è sempre stata una necessità strategica anche nei secoli seguenti: ai piedi della Porta di Ferro ancora oggi si trovano due esemplari di cannoni a lunga gittata posti a guardia della antistante baia della Corricella dalla Marina Francese, che sosteneva la Repubblica Napoletana del 1799 contro le forze anglo-borboniche. Attualmente, a ridosso delle mura 500esche si trova anche l' edificio del penitenziario statale (Bagno Penale) oggi non più attivo ma a lungo sede di una colonia penale formata dal nuovo stato italiano.

Architettura popolare

Tuttavia gli episodi architettonici più significativi di Procida restano quelli legati alla cosiddetta "architettura spontanea", nome con il quale si indica generalmente l' edilizia popolare procidana, sviluppatasi in seguito a numerose contaminazioni culturali adattate alle specifiche peculiarità dell'isola e del suo sviluppo storico. Nella Terra Murata essa trova uno degli episodi più interessanti nella 'Casa del Belvedere', che non a caso è stata risparmiata degli interventi edilizi di demolizione e risanamento effettuati negli anni '50 per riammodernare l'area che presentava ormai parecchie zone pericolanti a seguito delle frane al sottostante costone roccioso. Essa mostra alcune tipologie costruttive che saranno riproposte anche nei nuovi borghi marinari del Sancio e della Corricella. La facciata appare divisa approssivamente su tre livelli, con piani però sfalsati tra loro. Al piano terra, ritmato da arconi irregolari che reggono parte dei piani superiori, alcuni locali di servizio o rivolti alla comunità: la bottega o il laboratorio artigiano, il deposito. Una scala esterna porta ai piani superiori dove si trova l' abitazione vera e propria con le camere private. La scala ha una prima rampa coperta e la seconda scoperta: lo stretto ingresso e l'angusto spazio chiuso della prima rampa rendeva l' accesso ai piani superiori più facilmente 'gestibile', evitando l' ingresso improvviso di ospiti indesiderati. Gli ambienti interni si susseguono in senso longitudinale poiché sui lati ciechi si addossavano le case vicine (qui demolite, ma altrove presenti).

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